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Nel 1959 il fisico molecolare Charles P. Snow affrontò per la prima volta le ragioni del complesso rapporto tra le due culture: quella scientifica, dedicata alla comprensione della natura, da una parte, e quella umanistica, incentrata sull’esperienza umana, dall’altra. A distanza di quasi sessant’anni, il tema è quanto mai attuale, come dimostra il recente libro del neuroscienziato Eric R. Kandel, premio Nobel per la medicina nel 2000 grazie alle sue ricerche sui meccanismi biochimici che portano alla formazione della memoria nelle cellule nervose.

Alla ricerca di un
ponte tra scienza e arte,
Kandel si concentra sullo studio della visione,
della percezione e della
memoria da parte delle neuroscienze, seguendo in parallelo l’opera di alcuni artisti astratti della scuola di New York degli anni quaranta e cinquanta del Novecento come Jackson Pollock, Willem de Kooning e Mark Rothko. Per farlo, si muove con disinvoltura tra le teorie estetiche di Ernst Gombrich sul ruolo dell’osservatore, i recenti lavori dei maggiori neuroscienziati, neurobiologi, psicologi cognitivi e della visione, senza trascurare la storia e la psicologia dell’arte e perfino i grandi classici della filosofia come Kant, Hume, Locke e Cartesio. In una prospettiva genuinamente umanistica, per Kandel in ultima analisi le neuroscienze non fanno altro che rispondere alle grandi domande sull’esistenza umana, che già i più grandi filosofi del pensiero occidentale avevano posto secoli fa: come funziona la memoria, come impariamo, come percepiamo il mondo esterno, qual è la natura della coscienza.

Mescolando discipline diverse, Kandel arriva alla conclusione che la percezione visiva è un processo mentale elaborato e che artisti come Mondrian, Rothko e Louis lo hanno compreso e realizzato nelle loro opere in maniera intuitiva.

Elena Canadelli

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