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L’UNICA GARIBALDINA
Il racconto storico di Attanasio restituisce la vita esuberante, densa e ingiusta di Rosalia Montmasson (1823-1904). Di umili origini savoiarde, seconda moglie di Crispi, fedele all’azione di Mazzini e Garibaldi, unica donna tra le 1089 camice rosse che partirono da Quarto nella notte tra il 5 e il 6 maggio 1860. Sulla pluridecorata eroina, esistono testimonianze scritte, ufficiali e private, veritiere e menzognere, che Attanasio passa in rassegna usandole con perizia o rigettandole con giustizia.

UN RACCONTO-SAGGIO
La Rosalia del volumetto Sellerio non è quella patriottica, imbalsamata dalla storiografia post-risorgimentale. La Rosalia di Attanasio, più evocata a squarci e tratti che narrata a tutto tondo, ritrova la voce che le era stata tolta e al cui recupero, supportato da documenti d’archivio inediti, fa da contraltare il progressivo disfarsi di quello che era stato l’uomo della sua vita: Crispi. La lettura delle azioni e delle parole di Rosalia condannano Crispi senza appello. Il grumo più importante di questo racconto-saggio di storia e di verosimigliante finzione, riguarda il matrimonio di Rosalìe e “Fransùa”, esuli e poverissimi, celebrato a Malta il 27 dicembre 1854. Nozze che vent’anni dopo un Crispi potente ormai monarchico e reazionario – risposatosi con la terza moglie, Lina Barbagallo, accusato di bigamia e vicino alla rovina privata e politica – rinnegherà definendolo “simulacro di matrimonio”.

LA STORIA SI FA COI SE
Attanasio si muove tra le carte dell’istruttoria e della sentenza che lasciò impunito Crispi e condannò Rosalia all’oblio. Tra le crepe di una storia “che invece di diventare magistra vitae, resta prevalentemente speculum iniquitatis”, si insinua la storia dei “se” e dei “ma” della Attanasio: “Se Francesco Crispi fosse stato condannato altra sarebbe stata la storia dell’Italia. Nel decennio del suo governo si produsse infatti una profonda distorsione del concetto risorgimentale di patria e democrazia: l’esasperato nazionalismo dell’età umbertina, prima; e fascista dopo. Una sentenza che, per i suoi effetti, fattuali e culturali, non può essere minimizzata. Né moralmente, né sul piano storico-politico”.

Giuliana Adamo

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