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La corsara. Ritratto di Natalia Ginzburg

Proust e Ginzburg

È strano che i biografi siano così attratti da scrittori che hanno già scritto tanto di sé. È il caso di Proust, la cui opera è dedicata per intero a un bambino, poi ragazzo ed adulto che si chiama Marcel, e che, con minime differenze, fa tutto quello che ha fatto il suo autore, Marcel Proust. Le biografie di Proust non si contano. La stessa cosa vale per Natalia Ginzburg, che, in forma ora velata ora del tutto palese, ha scritto quasi sempre di sé. Sandra Petrignani le ha dedicato una biografia la cui
fonte principale sono
gli stessi scritti dell’autrice. Forse la ragione è
che la sfida a risolvere
la dualità tra persona e
autore non è mai così
evidente come in questi casi, quando la distanza tra i due sembra minima. Più un autore scrive su di sé, meno sappiamo di lui.

Una persona profondamente triste

Natalia Ginzburg era, scrive Sandra Petrignani, una persona profondamente triste. Com’è possibile allora che abbia scritto pagine che ci rimangono impresse per la loro grande allegria? Per il loro brio? Non c’è però da dubitare della tristezza di fondo di Natalia Ginzburg, non tanto perché ce ne parla spesso lei stessa, ma perché la tristezza, la miseria, lo scoraggiamento e la tetraggine vi vengono spesso incontro nella sua opera, altrettanto veri della sua allegria.

Le prove più dure

La vita la sottopone alle prove più dure: segue il marito Leone al confino e poi a Roma, nelle peggiori condizioni materiali. A Roma Leone muore in carcere, sottoposto a tortura dai nazisti. Anche il secondo marito, Gabriele Baldini, morirà prematuramente. Natalia aveva avuto da Leone tre figli, da Gabriele ne avrà due. Con la prima, Susanna, gravemente disabile, passerà il resto della sua vita, il secondo, Antonio, morirà dopo meno di un anno dalla nascita.

Il mestiere di scrivere

Al confino in Abruzzo, nel poco tempo libero che le lascia la cura dei tre bambini, la giovane donna che aveva sognato fin da bambina di diventare scrittrice, scrive e pubblica già allora il suo primo romanzo breve, La strada che va in città (1942). È il suo primo successo, che la spingerà presto a fare dello scrivere un “mestiere” (Il mio mestiere in Piccole virtù). Diventerà redattrice della casa editrice Einaudi, e lo rimarrà quasi per tutta la vita. Si sottoporrà, felice, ai lavori più duri, chiedendo solo di scrivere, recensire, tradurre: centinaia, migliaia di pagine. Sarà giornalista affrontando i temi di attualità, spesso con disarmata semplicità, in un tempo di grandi intellettuali “impegnati”

Lorenzo Renzi