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FUGA IN EUROPA
La giovane Africa verso il vecchio continente

Il 40% della popolazione mondiale

I numeri citati da Stephen Smith raccontano una verità incontrovertibile (…). Fino al 1930 l’Africa aveva 150 milioni di abitanti, l’8 per cento della popolazione mondiale. Nel frattempo il resto del mondo si popolava a ritmi vorticosi (…). In poco più di due secoli l’umanità è passata da uno a sette miliardi e il continente africano è quello cresciuto più lentamente. L’umanità ha raggiunto lo zenit della fecondità negli anni sessanta dello scorso secolo e da allora è iniziato il declino demografico mondiale: non solo i paesi “sviluppati” – Europa, Giappone, Usa – invecchiano velocemente ma anche l’America Latina e parte del continente asiatico. L’Africa, oggi, è l’eccezione demografica: il ritmo di crescita fino al 2050 sarà del 2,5-3 per cento. Dai 150 milioni di abitanti del 1930 a 1 miliardo nel 2010. Due miliardi nel 2050, il 25 per cento della popolazione mondiale; nel 2100 gli africani saranno il 40% della popolazione mondiale: 4 miliardi su 10 miliardi complessivi. Il 2050 è la data su cui costruire analisi e scenari, perché rappresenta, oggi, la prospettiva di chi sta nascendo proprio adesso (…).

La corsa all’Europa

Per scatenare la “corsa all’Europa” ci dice Smith, devono verificarsi due condizioni. La prima è il superamento di una soglia di prosperità minima per un numero consistente di africani in un contesto di rilevante diseguaglianza reddituale tra Africa ed Europa. Una moltitudine di giovani privi di prospettiva, ma in grado di raggranellare risorse dalla parentela allargata affronta la sfida del viaggio, spesso clandestino e pericolosissimo. La seconda è l’esistenza di comunità diasporiche che fungono da “camera di decompressione” all’arrivo, come è sempre successo nei grandi movimenti migratori della storia.

Le migrazioni non cesseranno

(…) In modo molto lucido Smith affronta i paradossi con cui i paesi ricchi affrontano il fenomeno tra interessi geopolitici, politiche miopi di aiuti allo sviluppo, “buonismi” astratti e egoismi nazionalisti con il culto del sangue e del suolo. Cerca di offrire una risposta che “de-moralizzi” il dibattito sulla migrazione africana in Europa: “Non si tratta di scegliere tra il Bene e il Male ma di governare la polis nell’interesse dei suoi cittadini. Le migrazioni sono vecchie come il mondo e non cesseranno”. Prospetta quindi alcuni scenari: dal trionfo improbabile dell’universalismo umanista dell’Eurafrica alla Fortezza Europa che conosciamo, che “preannuncia una battaglia persa in partenza e votata al fallimento.

Cosa succederebbe nel 2050 se…

Conclude con una domanda aperta, quella che dovrebbero porsi tutti i policy makers globali: “mi è accaduto di pensare ad un’Africa che beneficiasse di tutta l’energia che oggi si mobilita per girarle le spalle. A cosa assomiglierebbe?”. Vale a dire: se si affermasse una gestione morbida dei flussi migratori e si investisse realmente in una possibile e vera prosperità dell’Africa, cosa succederebbe nel 2050? Non si disegnerebbero, per tutti, scenari migliori?

Ilda Curti

 

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