Prima Effe

Bellismo

“…e il mio tutto che ancora si ostina a cercare una via”

Gli artisti hanno il privilegio di potersi prendere il loro tempo per osservare la realtà, per abbandonarsi alla riflessione e realizzare così piccoli gioielli, canzoni, quadri, poesie, romanzi, in cui condensare il risultato delle loro riflessioni.
Quando mi sembra di non aver più nulla da fare, quelle giornate NO in cui ritengo di avere fallito nel mio obiettivo, ecco che mi corre in soccorso un artista che ha fatto di questa sottile ma penetrante capacità di osservazione la chiave del suo successo, Niccolò Fabi. Con lui mi sembra di dialogare, di potermi esprimere liberamente, di essere capita, soprattutto. Quale legame ci sia tra le mie riflessioni e Niccolò Fabi, è presto detto.

Chi di professione fa il docente, sa di cosa sto parlando. Di quelle giornate NO in cui, pur animati da buona volontà, non riusciamo a cavare un ragno dal buco: gli studenti non ascoltano, non partecipano, non ci sono. Ci sono fisicamente ma non con la mente, che non vaga però al videogioco che tra poche ore riabbracceranno, ma è ferma, senza slancio.
Puoi arrabbiarti, reagire con stizza, provare a smuovere le coscienze (come si dice), ma loro restano là, immobili, a guardarti come un alieno che sta usando parole in una lingua sconosciuta.

Parole. Ne sentono e ne sentiamo ogni giorno, siamo circondati di parole, sussurrate, urlate, scritte soprattutto. E questo ci dà l’illusione di padroneggiarle, capirle perfettamente, adoperarle per veicolare quanto abbiamo dentro. Ma se gli adulti non sanno spesso utilizzarle, cosa ci aspettiamo da un ragazzo?

Io, che paziente sono, ma di sicuro sanguigna di più, me la prendo subito se, nonostante i miei sforzi, i miei studenti non fanno quel cambiamento nell’uso delle parole che io mi aspetto. Certo, non studiano, la prima cosa che penso; dopo, la famiglia non li supporta, cosa possono fare da soli; poi: ma se vivono solo attaccati al cellulare e vedono solo un certo tipo di social e tv, cosa mi posso aspettare? E giù critiche. Quando la rabbia svanisce, però, penso a una cosa: ai terribili tempi che stiamo vivendo.

Cosa deve essere per un adolescente vivere la sua adolescenza in questa società, in questa realtà divisa tra virtuale e reale, dove a ogni azione nel virtuale può corrispondere una reazione nel reale e viceversa, cosa può volere dire crescere attraverso uno schermo che separa e isola, mentre contemporaneamente dà l’illusione di unire, proteggere e infondere coraggio.

Cosa significa formare una identità in una epoca di disvalore, che mercifica passioni e sentimenti, corpi e idee, cosa significa per un giovane vedere adulti che commentano con superficialità, volgarità, viltà, con feroce distacco situazioni drammatiche che ormai sono diventate la nostra quotidianità. A furia di vedere il male, il male si è fatto banale, live show di cui noi utenti siamo l’audience. E come tale, tanti reagiscono come si reagisce a uno spettacolo, come fosse una finzione e non la verità. E come può un adolescente crescere consapevole della fondamentale esistenza dell’altro e del rispetto che l’altro merita, della percezione delle emozioni e sentimenti altrui, della necessità di una convivenza civile degna di questo nome, di una condivisione comune di ideali e passioni sociali, del rispetto dei diritti umani se di fatto, ogni giorno, vedono solo scene di cattiveria e disprezzo e se ne nutrono, quasi come forma di sostentamento?

Per questi giovani di oggi è davvero dura formarsi oggi una identità e loro non lo sanno, pensando anzi di vivere nell’età dell’oro.

Ma io non mollo. Mi rifiuto di cedere all’idea che non ci sia nulla da fare di fronte a questa società eticamente traballante. Basta memoria e una prospettiva, direbbe Fabi, Mi basterebbe essere padre di una buona idea. Memoria del passato, prospettiva del futuro, una buona idea per il presente.

La buona idea io non ce l’ho. Può essere fare la differenza? Forse. Ok, parto da qui. Un docente può fare la differenza. Può decidere di lasciare perdere e può decidere di andare avanti, di insistere, quotidianamente, perseguendo l’obiettivo di aiutare a costruire delle identità di futuri uomini e donne portatori di valori positivi, in grado di guidare la società, nel rispetto delle leggi e degli uomini, onorando così il loro essere persone umane, degne di definirsi tali.
Onore e dignità, valori un po’ in disuso e concetti astrusi per i giovani di oggi, devono invece diventare parole d’uso comune e significato pieno, pensiero che si fa azione, teoria che si fa pratica.
I giovani di oggi non lo sanno ancora ma ne hanno bisogno. I meno giovani, seppure consapevoli in linea di principio, anche.
Troppo male viaggia sotto ai nostri occhi. Serve ricordare quanto di buono il passato ha trasmesso e dargli nuovo colore, nuova energia.

E nel mezzo c’è tutto il resto/
e tutto il resto è giorno dopo giorno/
e giorno dopo giorno è/
silenziosamente costruire…

Alessia Tsagris
Docente