Prima Effe

Bellismo

Lavorare con i ragazzi è esaltante e spaventoso.

Esaltante, perché sono ancora liberi e si esprimono con pochi filtri, e anche quando non se ne rendono conto sono curiosi e stimolanti, fanno domande che non ti aspetti e che seguono ragionamenti tutti loro, ma sempre con una logica ineccepibile, se hai voglia di seguirli.

Spaventoso, perché sono ancora liberi e si esprimono con pochi filtri, e se non gli piaci o non li stimoli abbastanza, o se di loro ti importa poco, se ne accorgono e li hai persi. Persi, andata, non li recuperi più.

Quando sono entrata la prima mattina alla Iqbal Masih di Milano, ero entusiasta e spaventata.

Con quali ragazzi avrei lavorato? Quanto filo da torcere mi avrebbero dato? Quanta voglia avevano di ascoltarmi e darmi fiducia? Di giocare con me e inventare storie?

Mi chiedevo questo, mentre aspettavo di entrare nella 2G e, dopo un paio d’ore, nella 2B.

Mi aspettavano con le loro copie di Qualcosa di vero e le loro domande su Rebecca, Giulia, la gilda del cerchietto, Lorenzo, Daniele, Leone, le pubblicità strambe e le fiabe vere.

Lì abbiamo rotto il ghiaccio, ci siamo annusati, fatti l’occhiolino e, forse, scelti un po’.

Quando gli ho proposto di inventarsi dei personaggi da usare nelle storie che avrebbero inventato, ci sono stati tutti. Abbiamo riempito una scatola di bigliettini, li hanno estratti desiderando il protagonista che avevano inventato loro o l’antagonista che preferivano, hanno riso per quelli capitati ad altri, perorato le proprie cause per farsene cambiare qualcuno, incrociato le dita e chiuso gli occhi nella speranza che uscisse maschio o femmina, perché certe figure era difficile immaginarle in modo molto diverso da come le avevano inventate.

Ma ci sono stati tutti, e il primo giorno li ho lasciati storditi di idee confuse e raffazzonate, embrionali, e il compito di trasformarle in storie.

Lo hanno fatto.

Due settimane dopo ogni coppia di ragazzi ha raccontato la storia che aveva inventato. A volte funzionava bene, a volte no. A volte era solo accennata, a volte era lunga e piena di dubbi. Ogni volta tutta la classe suggeriva, aiutava, tifava, criticava anche ma sempre con rispetto.

Quei personaggi erano i loro e, molto spesso, erano loro. Erano compagni di classe o di scuola, erano ragazzi con cui avevano avuto a che fare in passato, erano situazioni vissute o temute.

C’era chi aveva un bell’istinto narrativo e chi faticava a capire perché la sua storia proprio non funzionasse, ma tutti insieme, racconto dopo racconto, abbiamo lavorato per dare la forza che mancava.

Per qualcuno è stato faticoso, per altri divertente.

Dovevano inventare delle storie seguendo i principi classici – inizio, sviluppo, finale – e magari scoprire che con le parole si possono cambiare le cose, cambiare i finali. La si può far andare come si vuole, o come si avrebbe voluto.

Ottenere giustizia è un principio base delle fiabe e la loro missione era quella di far vincere i loro protagonisti, vittime di bulli, di aiutare i più deboli, di comprendere, volendo, le ragioni dei prepotenti, di ridere di loro ma anche di vederne le fragilità. Sconfiggendoli oppure, come hanno deciso molti ragazzi, parlando con loro, chiarendosi e facendoseli amici, risolvendo il conflitto.

E altre due settimane dopo eccole in bella, le loro storie.

Potevano presentacele come volevano: a fumetti, come canzoni o poesie, recitate.

Potevano anche chiedere aiuto agli altri compagni, per la loro presentazione.

Una squadra ha rotto gli schemi del racconto scritto recitandolo, un’altra ha fatto un reading con tanto di (bellissima) colonna sonora in sottofondo.

E qualcuno si è scordato il foglio a casa, o lo ha perso (a volte l’ansia da prestazione fa strani scherzi).

Abbiamo ascoltato le storie di ragazze escluse, ragazzi obesi, nerd, disabili, giovani provocatrici, studenti popolari a scuola o, al contrario, emarginati, altri considerati sfigati, qualcuno a disagio perché povero, qualcun altro perché figlio di separati, e poi i maleducati, gli strafottenti, gli ignoranti, quelli che in classe danno fastidio a tutti, quelli che non ascoltano, i menefreghisti, gli stranieri che faticano a capire l’italiano e chi li aiuta ad ambientarsi, gli immancabili secchioni e gli immancabili tamarri, i belli, i brutti, i simpaticoni a tutti i costi, gli innamorati, i rifiutati, i figli di papà, i malati che non lo dicono, gli adottati, i nullafacenti, gli asociali, i nuovi a scuola, i simpatici, i buffi, i ripetenti, i timidi.

Storie per tutti, storie di tutti.

Nessun filtro, nessun politicamente corretto, solo storie e la libertà di raccontarle.

Barbara Fiorio
Scrittrice

Progetto sul bullismo con Feltrinelli e FARE X BENE