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Hikikomori: un fenomeno in crescita

Chi sono gli Hikikiomori? Di che fenomeno si tratta?

Il termine Hikikomori è stato coniato dallo psichiatra giapponese Saito Tamaki alla fine degli anni 90’ per riferirsi al fenomeno psicosociale di persone che hanno scelto una condizione di auto-esclusione, a volte permanente, al fine di ritirarsi dalla vita sociale.

Hikikomori significa “stare in disparte, isolarsi” e deriva dai verbi “hiku” (tirare indietro) e “komoru” (ritirarsi). Nella lingua inglese viene tradotto con “social withdrawal” mentre in italiano con la defininizione di “ritiro sociale”.

L’identikit del giovane hikikomori si esprime attraverso caratteristiche comportamentali e di funzionamento che descrivono una nuova categoria psicopatologica: è un giovane di età compresa tra i 14 e 30 anni, di estrazione sociale medio-alta , nel 90% dei casi di sesso maschile, per lo più figlio unico di entrambi genitori laureati (Saito 1998; Aguglia, Signorelli, Pollicino et al., 2010; Teo 2015). Questi giovani maschi tendono ad invertire il ritmo giorno/notte, trascorrono il loro tempo navigando in rete, leggendo o guardando la TV, alcuni si fanno addirittura passare il cibo attraverso una fessura della porta o altri escono solo di notte, mentre tutti dormono, per girovagare per casa. I genitori raccontano di quanto i loro figli abbiano un proprio mondo e un proprio fuso orario e siano determinati a non rientrare nel flusso sociale, abdicando le relazioni e la frequenza scolastica e/o lavorativa.

Questo fenomeno ha raggiunto i confini italiani all’inizio del millennio e, inizialmente, si manifestò in termini di abbandoni e di ritiri scolastici per poi trasformarsi in una vera e propria segregazione in casa.

A oggi, si stimano 100.000-120.000 ritirati sociali in Italia.

I fattori che sembrano accumunare i ritirati giapponesi e quelli italiani sono tre: fobia scolare, il legame con la madre e l’interesse per un mondo fantastico, sia esso la rete o fumetti manga e anime (Piotti, 2015).

Le ragioni di questo profondo malessere e di questi specifici comportamenti sono da ricercare nei sentimenti di vergogna e paura che questi ragazzi vivono quando si confrontano con la società e le relazioni sociali: non riescono a reggere il giudizio degli altri e le pressioni che provengono dalla scuola o nel lavoro. Si chiudono dunque in loro stessi, nella loro cameretta perché sentono il mondo come opprimente, ostile, ingiusto e troppo competitivo.

In questa stessa cameretta, dopo essersi allontanati dalle relazioni, i ragazzi ritirati si immergono nella rete. Il mondo virtuale, senza spazio e senza tempo, rimane infatti l’unico luogo dove non perdere del tutto il contatto con il proprio sé e il mondo circostante.

L’attenzione dei media e degli addetti ai lavori per questo fenomeno è in forte aumento (Associazione nazionale hikikomori Italia), ma rimangono da sconfiggere diversi luoghi comuni su questa nuova patologia del nostro tempo, affermazioni quali: “sono solo pigri e svogliati”, “sono dipendenti da internet e non vogliono andare a scuola”, “è sempre connesso alla consolle, gioca tutta la notte”. Queste spiegazioni non sono veritiere o comunque non lo sono per loro.

Sono invece, in generale, ragazzi intelligenti, maturi ma estremamente sensibili e fragili nelle relazioni e che devono spesso far fronte a sentimenti di forte ansia, frustrazione e senso di inadeguatezza.

A dimostrazione di come questo fenomeno abbia raggiunto una rilevanza considerevole, il MIIUR – Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, ha creato un tavolo di lavoro per redigere delle linee guida a livello nazionale per affrontare il tema in maniera multidisciplinare e capillare.  Il ruolo della scuola è, infatti, fondamentale nell’identificare e prevenire quella che è diventata una vera e propria sindrome che mette in crisi tutta la famiglia e la generazione dei nostri futuri adulti.

Irene Simi de Burgis
Psicologa