Prima Effe

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L’orfanotrofio

Il romanzo si articola in tredici capitoli e a ciascuno di essi corrisponde, secondo uno stretto rapporto funzionale, un medaglione introduttivo dalle forti venature liriche. La storia ruota intorno a due personaggi: il bambino Lem, io narrante, e il suo miglior amico, l’adolescente Keïten insofferente a ogni regola. Ma in questo caso le regole sono un elemento determinante, se si pensa che i due vivono in un orfanotrofio, la grande struttura anonima che se da un lato offre un porto sicuro a chi non ha nessuno, dall’altro implica tutta una serie di costrizioni che culminano in una forma di segregazione dal mondo quasi assoluta.

Romanzo di formazione

Grande Madre Acqua si configura come romanzo di formazione . Nel mondo dell’infanzia evocato da Čingo non c’è spazio per le atmosfere idilliache: l’orfanotrofio è in realtà un ex-manicomio e gli anni in cui la vicenda è ambientata sono quelli dell’immediato dopoguerra, nella Iugoslavia comunista di Tito

La scoperta della bellezza

È la bellezza qui simboleggiata dalla Grande Acqua e dal monte Senterlev, entità naturali assunte a icone di un mondo talvolta immaginario ma ben presente agli occhi della mente che, simile a una calamita, non cessa di esercitare la sua attrazione nei confronti dei ragazzi, specialmente sui due amici protagonisti. Inizia così a sfaldarsi il muro metaforico che cinge la struttura nell’utopistico tentativo di impedire ai giovani reclusi di sperimentare la bellezza della vita, fino allora solo vagheggiata. Di qui la voglia di nuove scoperte per placare la curiosità interiore. E se la strada che porta a realizzare i sogni si rivela più lunga del previsto e non immune da rischi, Lem e Keïten, uniti da un comune destino e legati da un’amicizia che fonde più sentimenti, dalla fiducia reciproca alla tenacia e all’amore per la Grande Acqua, scoprono il segreto inesauribile della poesia, linguaggio non convenzionale capace di rimuovere ogni barriera. Il finale si riconnette alla funzione catartica dell’arte, che in ogni sua espressione ha il potere di risollevare l’uomo dagli orrori dell’esistenza e dalla banalità del quotidiano. Un’arte che proprio nell’opprimente struttura dell’orfanotrofio recupera la sua missione salvifica: ingentilire le anime senza più speranza attraverso la ricerca del senso della vita.

Ljiljana Banjanin

 

Le recensioni sono a cura di