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Un autore di vent’anni

Rocco Civitarese restituisce fedelmente la realtà che lo circonda, non ha nemmeno vent’anni (è nato nel 1999 a Pavia dove frequenta il primo anno di medicina) e racconta di ciò che conosce da vicino, quindi l’ultimo anno di liceo dalla prospettiva di un gruppo di ragazzi pavesi. Ognuno di loro è dotato di un pacchetto completo di ambizioni, idiosincrasie, paure, spigoli, insofferenze. Davide è una promessa del basket e lavora nell’ottica di realizzarsi sportivamente, Giustino è un giovane senza qualità che prova senza successo a fare il disegnatore, Lucilla rovescia i problemi di fiducia in se stessa sulla propria sessualità e Pietro, che è il protagonista della vicenda e l’alter ego dell’autore, sta in mezzo a tutti loro, nulla che lo contraddistingua davvero se non l’allarmante consistenza della sua cotta per Anna Pettirosso.

I cliché sugli adolescenti

Civitarese si diverte a manipolare i cliché degli adolescenti, ce li mostra ora impegnati ora sciocchi, ora tutti rivolti al futuro ora superficiali come solo dei diciottenni boriosi sanno essere; molto spesso si avverte, tra le pieghe del libro, un’aggressività latente e distruttiva, anche tra i personaggi più vicini. Non è un caso che la fascinazione epica di Civitarese, unica eccezione per cui l’autore si concede di alzare il tono e costruire una simbologia un poco naïf, ci porta alla scena madre di tutta la vicenda, la battaglia-rissa alla festa di Halloween: liceo classico contro scientifico, sotto un diluvio torrenziale e per di più con il Ticino lì accanto che esonda. Fanno breccia, su tutte, due immagini: la sorella di Pietro, Sofia, che fa di tutto pur di andare con il leggendario belloccio della scuola e ne viene quasi abusata; il confronto pubblico tra Davide e Lucilla, con il primo che perde la testa e fa per costringerla a una fellatio forzata.

Un’età crudele

È un’età crudele e così va rappresentata, senza contrasti coi genitori né social network a catturare la scena, ma come un campo di forze su cui agiscono delle individualità ancora in progress, giaguari invisibili capaci di qualsiasi cosa pur di riconoscersi nel mondo. Non ci sono autocoscienze speciali o sensibilità romanzesche: tutto è labile e incerto, sotto certi aspetti persino banale. I normalissimi protagonisti sono consapevoli che l’anno successivo cambieranno molti assetti delle loro vite e, al contrario, di ciò che c’è ora si conserverà ben poco. Si guardano così, come chi sa di essere costretto a una certa sceneggiata ancora per poco, come chi sta finalmente prendendo congedo. La chiusura del romanzo, che si riaggancia idealmente al prologo e incastra il testo in una struttura più o meno circolare, lascia qualche speranza: Pietro e Anna non possono stare lontani l’uno dall’altra, chissà poi per quanto ancora.

Matteo Fontanone

 

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