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IMMAGINARE GLI STRUMENTI PER CAMBIARE IL MONDO
Questo saggio di Nicholas Mirzoe, tra i maggiori esperti di “cultura visuale è uscito negli Stati Uniti nel 2015 e ha suscitato reazioni controverse a causa della sua impostazione divulgativa e soprattutto della sua dichiarata vocazione politica. Capire “come vedere il mondo” in una fase storica incerta come quella attuale equivale infatti, nelle intenzioni, a immaginare gli strumenti per cambiarlo; capire le immagini che circolano nello spazio pubblico, sia quelle prodotte oggi, sia quelle sedimentatesi nella lunga e complessa vicenda visuale dell’Occidente moderno, equivale ad assumere, rispetto a esse e rispetto ai mutamenti in atto nel pianeta, una posizione “attiva”. Sotto questo aspetto Mirzoe riconosce il suo debito con artisti, filosofi e studiosi più che celebrati (tra gli altri, Toulouse-Lautrec e Duchamp, Benjamin, Foucault e McLuhan) ma dialoga anche con figure altrettanto nodali, ma assai meno frequentate nel panorama degli studi (Samuel Fosso, Carl von Clausewitz, Paolo Virno) e introduce nella sua riflessione frequenti riferimenti a istituzioni statali e movimenti controculturali (US Army and Marine Corps, , il collettivo Visualizing Palestine, il gruppo Occupy Wall Street).

Il testo si articola in sette capitoli, più un’introduzione e un epilogo dedicati appunto a preparare e tirare le fila del discorso, cercando di chiarire in termini teorici il nesso tra “visione” e “attivismo visuale”.

AUTORAPPRESENTAZIONE, SGURADO INDIVIDUALE E VISIONE COLLETTIVA
Il primo capitolo (Come vedere se stessi) introduce il tema dell’evoluzione dell’autoritratto, dalle sue radici storico-artistiche alle sue potenti implicazioni sociali, culturali e ideologiche moderne e postmoderne (con una certa enfasi sulla recente moda del selfie). Definito il vedere, attraverso il problema dell’ autorappresentazione, come un processo inevitabilmente attivo, il secondo capitolo (Pensiero e visione) ne affronta alcune implicazioni epistemologiche e neuro-psicologiche, esaminando il nesso tra visione e tecnologia, vista biologica e giudizio culturale, sguardo individuale e visuale collettiva, tracciando una linea di pensiero che va da Cartesio alle teorie di Gallese sui neuroni specchio. Tra gli usi storici primari di questo complesso insieme di saperi, tecniche e strutturazioni percettive, Mirzoe evidenzia, nel capitolo successivo, le forme utilizzate nel tempo per Visualizzare la guerra, dalle prime mappe militari alle attuali tecnologie dei droni, sottolineando la centralità delle immagini, anche in termini di propaganda e manipolazione del consenso, in tutte le guerre e in particolare in quelle più recenti, di livello geopolitico.

MONDO RAPPRESENTATO E RAPPRESENTAZIONE DEL MONDO
Ciò accade anche perché (tema al centro del quarto capitolo: Il mondo sullo schermo) “il mondo che vediamo è stato a sua volta forgiato e ordinato dal modo in cui lo abbiamo visto a partire dal cinema, passando per la televisione fino agli attuali network digitali”, e negli anni più recenti, tramite la generazione e l’analisi di “immensi campi di metadati”, si è via via trasformato in “un mondo accuratamente sorvegliato e filtrato per noi prima ancora che riusciamo a vederlo”. Al nesso tra visione e “disvisione” (termine che qui sta a indicare un’attitudine, tipica della cultura urbana, interconnessa e globalizzata, a ignorare, rimuovere, negare ciò che non rientra nel “proprio” mondo e sistema culturale) è dedicato uno dei capitoli più densi del volume (Le città del mondo, i mondi delle città), dove si tenta di delineare un quadro genealogico delle mutazioni che in era moderna hanno plasmato l’assetto metropolitano, dalla “città imperiale” a struttura concentrica di cui la Parigi di Haussmann rappresenta l’epitome alla “città divisa” tipica della guerra fredda (Berlino) e dei mondi post-coloniali (Città del Capo, Johannesburg): città attraversate da muri e confini e contrassegnate da divieti e prescrizioni; città che a loro volta, divenute infine “città globali” (Gerusalemme, Shangai, Hong Kong ), si presentano come “uno spazio di simultanea cancellazione, separazione ed espansione difficile da vedere e ancor più difficile da comprendere”.

MAPPARE LE MUTAZIONI
Il capitolo si chiude con un invito a “costruire mappe” delle mutazioni in atto, cercando di coglierne le implicazioni attraverso triangolazioni di temi e approcci. Gli ultimi due capitoli (Il mondo che cambia; Cambiare il mondo) tentano appunto di mappare uno scenario instabile, drammatico e complesso, in termini ecologici e climatici e in termini politici e mediatici, rilevando, in conclusione, come la cultura visuale si sia nel tempo “evoluta in una forma di pratica che potremmo definire ‘pensiero visuale’, qualcosa che non possiamo limitarci a studiare ma che richiede il nostro impegno diretto”.

Giacomo Daniele Frangipane

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