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VITA ARDIMENTOSA DI UNA PROF

“L’aspirante professore patisce ineluttabilmente un percorso di cui non si intravede la fine ed espone le sue rassegnate membra a esercizi di penitenza e mortificazione degni di Jacopone da Todi”.

Intrisa dell’amara ironia che contraddistingue l’intero libro, questa è la frase che racchiude in sé il messaggio fondamentale che Isabella Pedicini trasmette con il suo brillante racconto di come si diventa insegnanti oggi in Italia.

Una via crucis tragi-comica, un po’ teatro dell’assurdo e un po’ corso di sopravvivenza, in cui purtroppo nulla è frutto della fantasia dell’autrice, ma tutto è incredibilmente autentico.  Merito di Pedicini è offrire un’occasione per far conoscere le fatiche dei nuovi prof e le sadiche assurdità ministeriali anche a chi di ciò non sa nulla, ai tanti che credono che la scuola sia il comodo approdo di chi non ha voglia di darsi troppo da fare.

L’autrice riesce nel suo intento, denso di significato politico, vestendo di una divertente forma narrativa il resoconto di ciò che ha vissuto negli scorsi anni, dal concorso per accedere al corso abilitante  a quello per ottenere la cattedra in storia dell’arte.

Situazioni kafkiane, nelle quali si può essere contemporaneamente promossi e bocciati, presenti in aula e assenti sui registri, perché vastissimo è il limbo dell’incertezza interpretativa di un castello di norme astruse e contraddittorie, terreno di battaglia per ricorsi giurisdizionali di ogni sorta, che non fanno che alimentare un devastante bellum omnium contra omnes fra lavoratori. Il tutto reso ancora più complicato dal contesto generale nel quale vive ogni “giovane” aspirante docente, che il più delle volte si sta barcamenando tra lavori precari ad alta qualificazione ma a scarsissima remunerazione, con l’aggravio, frequente, dell’emigrazione se si tratta di una persona del sud.

Nel testo, però, non c’è lamento sterile, non si piagnucola né si sbraita: al posto di un impolitico vittimismo troviamo l’auto-ironica energia di chi sa che “insegnare rimane, nonostante tutto, il mestiere più bello del mondo”. Questa è la sorgente della forza che permette a Pedicini di non mollare, lottando non solo per sé, ma per un sistema d’istruzione liberato dalla delirante cappa burocratica che lo opprime, traduzione amministrativa di un’ideologia aziendalista estranea allo spirito della Costituzione. E quella consapevolezza è anche l’origine della sana curiosità educativa con la quale la “giovane” professoressa che i bidelli scambiano per studentessa si rapporta agli alunni che ha di fronte, cioè alla ragione dell’esistenza della scuola. In particolare ai ragazzi e ragazze dotati di intelligenze e temperamenti “fuori dal coro, innati portatori di un pensiero divergente”, spesso incompresi e non valorizzati dai suoi colleghi più pigri, conservatori, emotivamente aridi, quelli per cui la relazione docente-discente si esaurisce nella trasmissione di nozioni e nell’attribuzione di un voto.

Jacopo Rosatelli

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