Prima Effe

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Il romanzo appartiene a un filone narrativo di tipo civile-politico che utilizza, contaminandoli, gli schemi del genere poliziesco per una rilettura della Storia.

Malaguti procede alternando per capitoli due ambientazioni geo-umane, due epoche. Da una parte il fronte dell’Isonzo e poi del Piave nel 1917, soldati mandati insensatamente a morire con grappa in corpo e carabinieri pronti a sparargli alle spalle se retrocedono, il linguaggio della trincea (in appendice un repertorio minimo del lessico), l’occhio dello scrittore centrato sul Vecio, in guerra dal primo giorno e sopravvissuto perché così vuole il destino, come i suoi commilitoni Malabarba, Baguzzi, Cazzavillan. Dall’altra, la stazione di Firenze, nel 1931, IX E. F., questurini agenti dell’Ovra alti funzionari dello Stato e gerarchi del regime, l’ispettore Ottaviano Malossi trovatosi per caso, ma mica tanto, a indagare su un incidente lungo la ferrovia.

Dove è stato trovato in cadavere, che scotta, trattandosi di Andrea Graziani, luogotenente generale della Milizia per la sicurezza nazionale, ma soprattutto responsabile in capo delle fucilazioni durante la rotta di Caporetto, anche per un sigaro dimenticato in bocca da un soldato al suo passaggio (storia vera, questa, dell’artigliere Alessandro Ruffini, 24 anni, a cui è dedicato il libro, uno fra le tante vittime ricordate dall’autore con puntiglio di ricercatore storico). Suicidio? Difficile, perché il corpo si trova sul lato opposto dei binari e mancano le ragioni. Omicidio? Impensabile per un regime dove persino i treni arrivano in orario. Incidente? Impossibile, ma la soluzione migliore per ragioni di Stato. Malossi china la testa malgrado suoi dubbi, ma in un sussulto di dignità professionale e umana indaga di nascosto. Qui l’invenzione prende il sopravvento sulla realtà, ma mantenendo i criteri della coerenza narrativa e plausibilità storica.

Fernando Rotondo

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