Prima Effe

BLOG

PHILIP ROTH
ROMANZI (1991-1997)

Le opere più grandi

Il secondo capitolo della trilogia di “Meridiani” Mondadori dedicata a Roth contiene (…) quattro romanzi pubblicati negli anni novanta (…), il periodo in cui lo stile e la voce di Roth raggiungono la piena maturità: non a caso, nella nota di cordoglio per la morte dello scrittore, il critico letterario Harold Bloom ha definito due di questi romanzi, Il teatro di Sabbath (1995) e Pastorale americana (1997), “le sue opere più grandi”. Unitamente a Patrimonio (1991) e Operazione Shylock (1993), queste opere compongono quello che il curatore Simonetti definisce efficacemente “un complesso monologo a più voci” che modula i temi cardine della narrativa rothiana – la ferocia e la spensieratezza dell’esistenza, l’ambizione e il desiderio, la comprensione e il rifiuto dell’America borghese – secondo diversi toni e intensità, in un rimando e un contrappunto continui che ricordano il coro del teatro classico greco. (…)

La condizione umana

In queste opere Roth mette a nudo la condizione umana nelle sue espressioni più drammatiche. In Patrimonio mette in scena sé stesso e “lo sforzo angoscioso, e a volte comico, di una famiglia e di un genitore in fin di vita” che, nonostante l’approssimarsi della morte, rimane “una figura di considerevole pathos e eroismo”, che l’autore aveva già accostato a personaggi epici come il capitano Achab. In Operazione Shylock, (….) la questione ebraica, rievocata nel titolo del romanzo dal nome dell’ebreo spietato di Il mercante di Venezia, è qui dipanata nel suo contesto più ancestrale e complesso, Gerusalemme, che Roth tratteggia vividamente  (…).

Vette shakespeariane

Probabilmente le due dramatis personae più vive e indimenticabili uscite dalla penna di Roth sono Mickey Sabbath e Seymour Levov detto “lo Svedese”, protagonisti rispettivamente di Il teatro di Sabbath e Pastorale americana, romanzi in cui, secondo J.M. Coetzee, Roth sfiora “vette shakespeariane”. Sabbath ricorda, per intensità di sentire e inclinazioni, Re Lear, ma il suo dramma assume anche “i toni farseschi della commedia dell’arte”, perché, nel ricordare i suoi ripetuti fallimenti, il protagonista (…) si profonde in una sfrenata e politicamente scorretta irrisione della società americana. Di segno opposto, lo Svedese ricalca i tratti di un eroe euripideo, angosciato e insicuro nel confrontarsi con la propria tragedia privata di ascesa sociale e successiva caduta per mano della figlia terrorista. (…)

Alice Balestrino

 

Le recensioni sono a cura di