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LETTERA AI CAPPELLANI MILITARI LETTERE AI GIUDICI

Era necessaria un’altra edizione delle ormai famose e pubblicate lettere di don Lorenzo Milani? La vicenda è nota: in risposta al “Comunicato stampa dei cappellani in congedo”, dell’11 febbraio 1965, che esaltava il militarismo patriottico e condannava l’obiezione di coscienza quale “espressione di viltà”, don Milani scrisse una lettera
aperta agli estensori del comunicato, nella quale difendeva, come dovere
cristiano, la disobbedienza agli ordini ritenuti criminali, più che
ingiusti, e al più criminale di tutti, quello di
uccidere.

 

Il dibattito,
come ricorda l’autore,
era esploso con il caso di Giuseppe Gozzini, il primo obiettore cattolico, nel novembre 1962 e per tanti cattolici rifiutare la leva era un dovere coerente con la fede cristiana.

Il testo di Sergio Tanzarella, però, non è solo una riedizione delle lettere del priore di Barbiana, ma un’opera totalmente nuova. Storico della chiesa, studioso di don Milani e tra i curatori del recente “Meridiano” dedicato all’autore, Tanzarella ricostruisce per la prima volta in maniera organica l’intera vicenda che lo portò di fronte ai giudici, con l’accusa di “incitamento alla diserzione e incitamento alla disubbidienza militare”.

 

Era il 1965, sotto il pontificato di Paolo VI, in pieno Concilio Vaticano II, che ancora non aveva preso posizione ufficiale sulla questione dell’obiezione di coscienza. Ma era anche il tempo della guerra del Vietnam e i vescovi americani premevano perché il Concilio non si pronunciasse a favore degli obiettori (…).

 

Riprodotta in 5000 esemplari, la lettera ebbe un’ampia diffusione e venne pubblicata dal settimanale del Pci Rinascita. La replica dei cappellani militari non si fece attendere. Si rivolsero alla Procura di Firenze per denunciare Lorenzo Milani. La questione dell’obiezione di coscienza divideva l’opinione pubblica e la stessa chiesa (…). Questo clima, del periodo che va dal comunicato dei cappellani fino al termine del processo, conclusosi nell’ottobre del 1967 con  la non perseguibilità di don Milani, per “morte del reo” ci viene pienamente restituito dalla postfazione di Tanzarella, che occupa circa la metà del testo e che costituisce la vera novità di questo libro. Tanzarella ha inoltre il merito di richiamare lo stretto legame tra le due Lettere e la più famosa Lettera a una professoressa (…).

Gino Candreva

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