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LE ULTIME TESI SULLO SCIOGLIMENTO GLACIALE

Per la prima volta, la comunità scientifica internazionale si trovava concorde sul fatto che, nell’eventualità di un aumento della temperatura media superiore a 2°C, molte aree del pianeta subirebbero preoccupanti effetti negativi a causa delle “interazioni di microlivello tra riscaldamento globale e regimi climatici esistenti”.

LA TEORIA DEL BASTONE DA HOCKEY
Il Programma delle Nazioni Unite individuava cinque “moltiplicatori specifici del rischio di inversione di tendenza dello sviluppo umano”: “produttività agricola ridotta, maggiore insicurezza idrica, maggiore esposizione alle inondazioni costiere e ad eventi meteorologici estremi, crollo degli ecosistemi e maggiori rischi per la salute”. (…).
Il rapporto dello Undp, in sostanza, rappresentava un riconoscimento politico della controversa “teoria del bastone da hockey”: una curva climatica che aveva dimostrato come le variazioni della temperatura terrestre, praticamente stabili fino al 1850, avevano iniziato ad impennarsi rapidamente proprio dalla seconda metà dell’Ottocento, ovvero in concomitanza con la diffusione della seconda rivoluzione industriale e, quindi, con l’impiego sempre più rilevante dei combustibili fossili. Nel dibattito pubblico, lo stato dei ghiacci è divenuto, così, il principale paradigma della salute climatica del pianeta (…). L’alternanza, nella storia climatica della terra, di periodi serra e fasi glaciali continua ad alimentare un incalzante dibattito fra coloro che ritengono l’attuale riscaldamento climatico un fattore naturale e quanti lo imputano alle attività umane.

GLI SCETTICI
Nella letteratura tradotta in italiano si può evidenziare un indirizzo scettico, i cui principali autori sono Bjorn Lomborg e Wolfgang Behringer. Quest’ultimo sostiene che la terra “continuerà a riscaldarsi anche qualora tutti i paesi del mondo si comportassero in maniera esemplare e riducessero drasticamente i gas di scarico” e che la rivoluzione neolitica e la nascita delle prime civiltà “ebbero luogo in periodi in cui faceva un po’ più caldo di oggi” per cui, se i dati sul riscaldamento globale fossero corretti, “nel corso di questo secolo raggiungeremo nuovamente quei valori”: a quel punto, secondo l’autore, “i ghiacciai alpini si scioglieranno, ma non quelli dell’Antartide”, quindi “risparmieremo sul riscaldamento e bruceremo meno energia fossile”. Queste argomentazioni servono a Behringer per sostenere che il clima è “sempre cambiato” e per ammonire a non “lasciare l’interpretazione dei mutamenti climatici nelle mani di chi non sa nulla della storia della civiltà”.

IL POLITICALLY CORRECT
Vi è poi il filone politicamente corretto, il cui campione è Pascal Acot. Nel suo Catastrofi climatiche e disastri sociali, Acot solleva dubbi sull’operato dell’Ipcc, sul movimento ecologista  e sul neoliberismo. Queste premesse servono all’autore per sollecitare una imprecisata “ecologia della liberazione umana” in grado di osteggiare “la fatale irragionevolezza dell’attuale ordine del mondo”.

Infine, vi sono gli indefessi paladini dell’azione climatica, il più recente dei quali è Peter Wadhams che sostiene la necessità di una chiamata alle armi per “individuare un metodo in grado di rimuovere l’anidride carbonica dall’atmosfera”. In attesa di questa svolta tecnologica, Wadhams invita ogni singolo cittadino ad adottare “ogni misura possibile per ridurre gli sprechi energetici, in particolare l’utilizzo dei combustibili fossili”, ad insistere affinché i governi modifichino le loro politiche energetiche, a non avere paura dell’energia nucleare. Insomma, la “chiamata alle armi” non appare niente di diverso dall’abusata retorica che caratterizza certo ambientalismo mainstream.

Federico Paolini

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