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Un autore approssimativo?

Pier Paolo Pasolini ha “bruciato” diversi generi, dalla poesia al romanzo al giornalismo alla critica e saggistica letteraria, dal cinema al teatro. Così è stato spesso accusato di avere congedato testi approssimativi, con scarsa cura formale. Ebbene, in uno studio attento e intelligente, Caterina Verbaro ci restituisce invece le consapevoli e intenzionali scelte di un Pasolini coerente nelle svolte che reagiscono ai mutamenti del sociale. Pasolini è andato alla ricerca del sacro, un sacro immanente come vera realtà che sottende la realtà stessa, che è quindi, come per Mircea Eliade, “ierofania”.

Una poesia cinematografica

Per questo, sostiene Verbaro, l’opera pasoliniana, in tutte le sue forme è una “poesia del sacro”, quel sacro che il neo-capitalismo nega, ed è proprio di fronte agli assalti del neo-capitalismo che Pasolini ritiene che la poesia tradizionale non sia più possibile. E avvia una fase di rivisitazione della scrittura poetica che si mescida con le modalità dell’espressione cinematografica. Se il cinema pasoliniano è un “cinema di poesia”, la scrittura in versi diventa a sua volta una poesia di montaggio.  Il cui esempio più significativo è il poemetto Patmos nel quale si alternano e confondono tre testi diversi: l’elenco delle vittime della strage di piazza Fontana del 1969, i riferimenti ai commenti dei politici, i passi dall’Apocalisse di Giovanni.

Il sacro dell’ateo

Ma il sacro dal pur ateo Pasolini è ripreso contenutisticamente in Uccellacci e uccellini e il Vangelo secondo Matteo o nel progettato film su san Paolo nel quale più immediatamente si sarebbe dovuta compiere una commistione di passato e presente; ma pensiamo anche ai diversi piani temporali di Uccellacci e uccellini. Gli scritti di Pasolini vanno sempre più verso una forma ibrida, verso il “magma” di cui estrema espressione è il romanzo “postmoderno” incompiuto Petrolio .

Enzo Rega

Le recensioni sono a cura di