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Le basi del giallo
Gli articoli che nell’arco di un trentennio, Leonardo Sciascia dedicò alla letteratura poliziesca, ora raccolti da Paolo Squillacioti, creano un libretto aureo, in cui i lampi e le illuminazioni critiche celano la costante interrogazione sui fondamenti del genere.

Il presepio di Agatha Christie

In un articolo del
1975, Sciascia descrive le
perfette trame di Agata
Christie come altrettanti
resoconti di “un sogno
quieto e terribile, senza
oscurità e dispersioni,
netto, logico, un sogno
che a differenza di quel che Cartesio diceva dei sogni, può ripetersi, si ripete; un sogno in cui quei sussulti che Orwell si aspettava dalle bombe tedesche vengono preparati in casa, in famiglia: domestiche manifatture a sorpresa di tramandata tradizionale sapienza; piccoli, pazienti delicati congegni criminali costruiti in segreto da chi ne ha il talento e messi in moto al momento prestabilito, come nelle famiglie del meridione d’Italia il presepio”. A tutte le latitudini si mettono in scena presepi di violenza, verrebbe da dire, e la sacra rappresentazione ci porta al soprannaturale ilare di Chesterton, al suo mite Padre Brown che “sente il delitto camminando per le strade di Londra o di Parigi, sceglie tra l’anonima folla di una grande città il soggetto umano che sta per essere vittima o che sta per commettere un delitto. Lo sceglie, lo segue, lo esamina e lo rivela poi vittima o delinquente”.

 

Maigret vede e ama

E poi naturalmente c’è Maigret, un polo di attrazione magnetico del libro: l’appassionato del cuore umano e delle sue debolezze. Maigret come personaggio agglutinante, capace di creare attorno a sé una realtà, di ricomporre un caos, persino il caos del suo autore. Senza Maigret non avremmo Simenon: il commissario borghese porta il suo autore “a riflettere sui propri mezzi sulla propria vocazione”, gli dà il coraggio di abbandonare i mille pseudonimi per presentarsi col suo nome. La presenza di questo burbero funzionario di mezza età spinge lo scapestrato scrittore verso l’elaborazione di una “poetica dell’uomo che non pensa, dell’uomo che vede, soltanto vede”: vede e ama, come avevano fatto Gogol e Cechov, gli scrittori che lo stesso Simenon in una intervista aveva indicato come suoi antenati ideali.

Il delitto ambivalente

Si sarà capito come per Sciascia la letteratura poliziesca non abbia nulla di innocente, anzi semmai crea un varco con l’indicibile dei desideri socialmente repressi, permette all’uomo che si vuole inoffensivo di guardare a un mondo di violenza, sopraffazione e morte. Il delitto che rompe l’ordine e l’equilibrio, nuova religio, della società “risveglia nel nostro inconscio sentimenti ambivalenti: da un lato una superstitio totemica per cui ci scostiamo da colui che ha osato delinquere e chiediamo che mura e sbarre lo separino da noi, lo facciamo tabù nel senso della impurità; dall’altro un senso di ammirazione appunto perché ha osato infrangere il divieto, che fa il delinquente un tabù nel senso del sacro. Questo gioco di ambivalenze è certo la principale attrattiva del ‘giallo’. Ma il godimento che deriva dalla lettura di una investigazione è destinato dalla frustrazione: “a lettura finita, il vuoto dell’insoddisfazione e il bisogno di nuove letture nello stesso senso per rinnovare la stessa emozione”. Ne risulta che l’incompiuto Pasticciaccio gaddiano è il giallo per eccellenza: quello che negando l’appagamento in realtà lo prolunga ben oltre l’ultima pagina; quel giallo che non vuol finire va freudianamente oltre il principio di piacere.

Marco Viscardi