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Niente parola niente civiltà

Lo sviluppo del linguaggio parlato è un prodotto di una lunga evoluzione, con il passaggio da una comunicazione basata sui gesti a quella verbale più lenta, che, sostiene l’autore, è alla base delle comparsa della razionalità e in ultimo di quella che chiamiamo civiltà. L’emisfero sinistro del nostro cervello, dove risiedono le aree deputate alla comprensione e costruzione del linguaggio verbale (…), è lo stesso delle aree responsabili della formazione del pensiero. Il cervello sinistro cerca le spiegazioni; semplificando la complessità e molteplicità di funzioni del linguaggio, si può affermare che esso crea stringhe di eventi – parole – legati in sequenze logiche: la base del ragionamento.

“La parola ci fa eguali”

La riduzione della varietà e complessità linguistica è iniziata con la diffusione dell’inglese (quello semplificato, “globish”, di 1500 parole circa), e questo impoverimento è accentuato dalla comunicazione digitale, che comporta spesso la sostituzione della parola con messaggi stereotipati e semplificati. I giovani (…) hanno l’illusione di essere loro a creare i nuovi strumenti, in realtà imposti da altri. Maffei cita don Milani: “Finché ci sarà uno che conosce 2000 parole e uno che ne conosce 200, questi sarà oppresso dal primo. La parola ci fa eguali”. Queste considerazioni portano l’autore ad affrontare il problema del ruolo della scuola (…). Maffei è contrario all’uso del telefonino a scuola, proponendo invece di potenziare i laboratori digitali, con materiali e accessi adatti a un approccio formativo. Sul versante opposto ci sono gli anziani. La riduzione della comunicazione verbale (…) tende ad aggravare le patologie legate all’invecchiamento e a ridurre i rinforzi positivi legati alle relazioni di gruppo, dimostrati da molti studi (…).

 

Negli ultimi capitoli, l’esperienza di neurofisiologo dell’autore lo porta a riflettere sul rapporto fra comunicazione visiva e parola: lo spunto è il famoso disegno di Magritte, dove è rappresentata una pipa sotto cui sta scritto “ceci n’est pas une pipe”. Le immagini che ci forniscono i media sono come la pipa: non sono la realtà ma, come le parole, devono passare al vaglio razionale. Ogni cervello è diverso e elabora queste informazioni in modo unico: “anche se esistesse un cervellaio dove comprare cervello, voi non lo vorreste, non vorreste trapiantarvi un cervello di serie”. La globalizzazione tende a farli tutti eguali; stare nel gregge è comodo, dà sicurezza (…). Guardare è diverso da vedere: il primo atto corrisponde ad una sensazione; il secondo è attribuzione di significato e valore. (…) Una comunicazione che si concentra sul guardare può portare alla fuga dalla parola; la velocità, l’uso di pochi simboli fornisce un quadro approssimativo del reale, che può essere anche fuorviante e favorire la trasmissione di messaggi unici e semplificati. (…)

Davide Lovisolo

 

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